giovedì 27 dicembre 2012

Poesia di Garcia Lorca 2


Api d'oro
cercavano il miele
dove starà
il miele?
E'nell'azzurro
di un fiorellino,
sopra un bocciolo
di rosmarino.

Poesia di Pablo Neruda


Bianca ape, ebbra di miele, ronzi nella mia anima
e ti avvolgi in spirali lentissime di fumo.

Io sono il disperato, la parola senz'eco,
quegli che ha perso tutto, dopo aver tutto avuto.

Sei la fune in cui cigola la mia ultima brama.
Nel mio deserto vivi come l'ultima rosa.

Ah silenziosa.

Chiudi gli occhi profondi dove aleggia la notte.
E denuda il tuo corpo di statua timorosa.

Possiedi occhi profondi dove vola la notte,
fresche braccia di fiori ed un grembo di rosa.

I tuoi seni assomigliano alle conchiglie bianche.
E sul tuo ventre dorme una farfalla d'ombra.
Ah silenziosa.

martedì 25 dicembre 2012

Poesia di Trilussa


 La felicità

C'è un'ape che si posa
su un bottone di rosa:
lo succhia e se ne va...
Tutto sommato, la felicità
è una piccola cosa.

Poesia di Paul Valery



L'ape
Quale che sia, e mortale,
e fina la tua punta,
il mio cestello tenero
non ti velo, ape bionda,
che d'un sogno di trina.

Pungi al seno la bella
mela, cui posa Amore
e vi langue o vi muore;
alla mia carne tonda
e ribelle che affiori
di me vermiglia un poco.

D'un alacre tormento
bramo l'offesa; meglio,
cresciuto e vivo, un male
che una sopita pena.

Illumini il mio senso
l'infima sveglia d'oro,
di cui se privo, Amore
perisce o s'addormenta.

domenica 23 dicembre 2012

Poesia di Garcia Lorca


Garcia Lorca
Il canto del miele
Il miele è la parola di Cristo,
l'oro colato del suo amore.
Il meglio del nettare,
la mummia della luce di paradiso.

L'alveare è una stella pura,
pozzo d'ambra che alimenta il ritmo
delle api. Seno dei campi
tremulo d'aromi e di ronzii.

Il miele è l'epopea dell'amore,
la materialità dell'infinito.
Anima e sangue dolente di fiori
condensati attraverso un altro spirito.

(Così il miele dell'uomo è la poesia
che emana dal suo petto addolorato,
da un favo con la cera del ricordo
creato dall'ape nell'intimità).

Il miele è la bucolica lontana
del pastore, la zampogna e l'olivo,
fratello del latte e delle ghiande,
regine supreme dell'età dell'oro.

Il miele è come il sole del mattino,
con tutta la grazia dell'estate
e il fresco antico dell'autunno.
E' la foglia appassita ed è il frumento.
Oh divino liquore dell'umiltà,
sereno come un verso primitivo!
Tu sei l'armonia incarnata,
lo spirito geniale di liricità.
In te dorme la malinconia,
il segreto del bacio e del grido.

Dolcissimo. Dolce. Questo è il tuo
aggettivo.
Dolce come il ventre di una donna.
Dolce come gli occhi dei bimbi.
Dolce come le ombre della notte.
Dolce come una voce.
O come un giglio.
Per chi ha in sé la pena e la lira
tu sei il sole che illumina il cammino.
Equivali a tutte le bellezze,
al colore, alla luce, ai suoni.

Oh liquore divino della speranza,
dove anima e materia unite
trovano il perfetto equilibrio
come nell'ostia corpo e luce di Cristo.

E' la superiore anima dei fiori.
Oh liquore che hai unito queste anime!
Chi ti gusta non sa che inghiotte
lo spirito d'oro di liricità.

Poesia di Virgilio


Virgilio


in Georgiche, libro IV
Quando si dia il caso che
per trista malattia
languiscono i corpi (ché
natura anche a loro dié i
nostri malanni), te ne
accorgerai da non dubbi
segni. Da un momento
all'altro le ammalate
diventano d'un colore, e
un'orrida macilenza le
deforma nel volto; si dànno a
portar via dalle case i
cadaveri delle morte e far
mesti funerali; o pendono
attaccate pé piedi torno torno
alle porte, o se ne stanno
stufate in casa tutt'il giorno,
sbalordite dalla fame
e impigrite dal freddo.
Odesi anche un ronzio
più mesto del solito
e continui lamenti.

sabato 8 dicembre 2012

Apiterapia


CONVEGNO INTERNAZIONALE Lazise del Garda, 4 Ottobre 1997

Apiterapia: una medicina alternativa?



Negli ultimi 10 anni abbiamo assistito ad uno slittamento della medicina progressivo e sempre più massiccio verso forme di terapia definite "alternative". Questo fenomeno, attentamente analizzato dalla filosofia della scienza contemporanea, fa parte di una vera e propria "rivoluzione scientifica", che si presenta come rottura del paradigma ufficiale della scienza medica e delle sue procedure distintive, e parallela instaurazione di un nuovo paradigma.

Le ragioni di questo sgretolamento, che intacca sempre più profondamente il corpus della medicina ufficiale, sono molteplici, e non è questa la sede più adatta per ricostruire le linee di una tormentata vicenda tuttora in corso di evoluzione. D'altro canto è necessario fare riferimento almeno al motivo di fondo, quello che potremmo definire strutturale, e che è troppo macroscopico per essere taciuto: per quasi trecento anni la pratica medica e chirurgica ha rappresentato l'organismo umano come un meccanismo dominato dai principi della fisica, totalmente determinato dalla somma dei singoli "ingranaggi" che lo compongono, e quindi comprensibile a partire da un lavoro analitico di scomposizione del tutto in fattori, i "processi di base", la cui somma avrebbe garantito la conoscenza del funzionamento complessivo. Insomma, anatomia e fisiologia come meccanica e dinamica dell'organismo, con una logica, pesantissima implicazione: l'inesorabile separazione delle componenti corporee da quelle mentali, ritenute assolutamente svincolate e quindi reciprocamente ininfluenti.

Questo antico, ma tuttoggi ampiamente praticato, paradigma meccanicistico in medicina, unito ai successi della chimica prima e della biologia poi, ha dato risultati conoscitivi e terapeutici di indubbia importanza nella storia della disciplina, ma ora, altrettanto innegabilmente, sta sperimentando il proprio insuperabile limite e l'angustia dei propri confini a fronte di sfide come il cancro o l'AIDS.
Contemporaneamente da più ambiti scientifici arrivano suggerimenti sempre più numerosi e stimolanti, e l'incoraggiamento verso nuove aperture, in particolare verso il superamento del dualismo corpo-mente, in favore di una visione sistemica della vita e del funzionamento degli organismi viventi: in poche parole si sta lavorando, fra infinite difficoltà ed innumerevoli ostacoli, all'instaurazione di un nuovo paradigma medico-scientifico.

Quest'ultimo, in corso di strutturazione ed organizzazione, attinge i propri materiali sia da tradizioni mediche antichissime, in cui la conoscenza si coniuga con la saggezza, come ad esempio la medicina cinese e la medicina ayurvedica, o di più moderna concezione (omeopatia), sia dalle più stimolanti cornici teoriche che la riflessione epistemologica degli anni '80 ha prodotto, quale ad esempio la teoria di Santiago sui sistemi viventi. Tali materiali sono accomunati dalla condivisione di un modello sistemico o globale dell'organismo, l'unità corpo-mente-ambiente, pensato (con maggiore o minore consapevolezza e chiarezza) come rete di processi autoproduttivi, aperta su un mondo che le fornisce materia ed energia, con il quale avvengono continui, mutui scambi ed incessante comunicazione.

In questa sede il mio compito sarà quello di analizzare una delle meno note fra le forme di medicina alternativa, una di quelle che non compaiono sui rotocalchi settimanali di informazione:l'apiterapia.
Pratica terapeutica plurisecolare, il suo impiego è testimoniato dalle fonti storiche da almeno due millenni presso le forme di civiltà più diverse e lontane, nel tempo e nello spazio.
Oggi in alcuni Paesi, quali l'Unione Sovietica, l'apiterapia è annoverata fra le terapie riconosciute dallo Stato. In Italia siamo ancora molto lontani da ciò, nonostante l'impegno e la tenacia di alcuni medici pionieri, quali il dott. Grosso a Vimodrone.
L'apiterapia può essere definita come trattamento terapeutico di alcune patologie con i prodotti raccolti, elaborati e secreti dalle api: miele, polline, propoli, pappa reale e veleno.
Per quanto mi riguarda cerco di utilizzare il più spesso possibile prodotti "al naturale", che non abbiano subito manipolazioni o trattamenti industriali di depurazione o concentrazione. I prodotti depurati, di fatto, risultano solitamente meno efficienti e più rischiosi dei loro corrispettivi naturali. Questi ultimi, infatti, oltre al principio attivo contengono anche tracce di sostanze considerate a lungo prive di importanza, ma che hanno dimostrato recentemente di svolgere un'importante azione sull'effetto prodotto dall'ingrediente attivo principale. Tali sostanze consentono all'organismo di limitare la propria reazione, eliminando il rischio di effetti collaterali indesiderati. Inoltre, le sostanze allo stato naturale mostrano spesso la straordinaria proprietà di inibire la moltiplicazione batterica, evitando quindi le mutazioni e le formazioni di ceppi resistenti all'azione del principio attivo, problema ben noto, ed implicito in qualsiasi terapia antibiotica.
Ad un'analisi ravvicinata, l'apiterapia si presenta come un mondo terapeutico complesso: copre il campo della nutrizione e delle scienze alimentari, attraverso l'impiego di miele, polline e pappa reale, ma anche l'ambito farmacologico vero e proprio (desensibilizzazione, terapie antiinfiammatorie e contro malattie autoimmuni), fino ad arrivare, attraverso particolari modalità d'utilizzo degli stessi prodotti (propoli, veleno, miele), alla sfera della biochirurgia, vale a dire l'uso in medicina delle larve della mosca verde della carne, delle sanguisughe .
Esamineremo ciascuno di questi livelli, che si presentano con complessità crescente, sia nelle tecniche di impiego coinvolte, e quindi nelle competenze professionali richieste, sia nei processi fisiologici innescati.

Livello nutrizionale

POLLINE

E' un alimento cosiddetto completo perchè è una miscela perfettamente bilanciata di aminoacidi, vitamine, sali minerali, enzimi ed acidi grassi.
Esso è pertanto fondamentale nelle diete, soprattutto nell'alimentazione vegetariana, essendo il suo apporto proteico sovrapponibile a quello della carne, privata però di tutti i grassi. E', pure ricco di vitamine e di flavonoidi.
La sola vitamina mancante è la D, per cui possiamo ritenere una alimentazione che comprenda il polline e di prodotti del latte come una dieta perfettamente equilibrata e naturale, soprattutto in un'epoca in cui vengono eccessivamente pubblicizzati i cosiddetti integratori alimentari sviluppati dall'industria chimica.
L'unico inconveniente legato all'assunzione del polline è rappresentato dalla possibilità che il suo sapore non incontri il favore del consumatore, fattore quest'ultimo fondamentale per la riuscita di un regime dietetico.
Un'ultima non trascurabile caratteristica di questa sostanza è il suo impiego come aiuto nelle terapie di desensibilizzazione ai pollini stessi, attraverso l'assunzione giornaliera per via sublinguale di piccole quantità di prodotto (2-3 granuli).

PAPPA REALE

E' nutrizionalmente importante almeno quanto il polline per l'elevata quantità di vitamine della crescita, gruppo B, in particolare di acido pantotenico (B5), la cui concentrazione in questo alimento ne supera qualsiasi altra.
E' attiva a dosi ponderali (2-3 cucchiaini da caffè al giorno) nelle lesioni eczematose della pelle, contro la caduta dei capelli, per incrementare la crescita del neonato prematuro, nell'affaticamento fisico ed intellettuale, nei disturbi intestinali e digestivi, e può essere d'aiuto nell'insonnia e nell'agitazione di origine nervosa.
Unica controindicazione è la marcata acidità, che può causare, in soggetti predisposti, l'irritazione della mucosa gastrica.

MIELE

E' il dolcificante per eccellenza. Rispetto allo zucchero presenta il vantaggio di essere, a parità di peso, decisamente meno calorico e più efficace, per cui può essere utilizzato in minori quantità.
Dal punto di vista organolettico si presenta in una ricca varietà di gusti. Ricco di fruttosio e sali minerali, soprattutto nelle qualità "scure", è tradizionalmente ritenuto un buon ricostituente. Se questa credenza tradizionale può essere scientificamente avallata, da sfatare sono le opinioni diffuse circa le proprietà "curative" specifiche dei singoli tipi di miele, in cui il principio attivo (responsabile di presunte azioni sedative, diuretiche, antipiretiche, antivirali, ecc.) è contenuto in quantità pressocchè inosservabili, troppo basse, insomma, per essere efficaci.

Livello farmacologico

Desensibilizzazione

VELENO

Nel caso di allergia al veleno degli imenotteri si utilizza il veleno specifico della specie, che ha causato la reazione, ad alte diluizioni progressive fino ad arrivare alla puntura dell'insetto vera e propria.

MIELE

In associazione al polline il miele è utile nel trattamento desensibilizzante delle pollinosi.

Terapia antiinfiammatoria

VELENO

Per intraprendere con successo una terapia antiinfiammatoria a base di veleno d'ape due sono i requisiti essenziali: un accurato inquadramento diagnostico e, conseguentemente, la constatazione dell'esistenza di una indicazione specifica. A questo proposito sorprendente è l'analogia con il quadro omeopatico corrispondente alla somministrazione del rimedio Apis.
Il campo d'azione del veleno (che diluito e dinamizzato è il principio attivo di Apis) si estende a numerose affezioni acute e croniche, quali gli stati infiammatori acuti articolari (ad esempio il reumatismo articolare acuto e la gotta), alla eresipela, all'artrosi e all'artrite reumatoide, all'orticaria, alla nefrite, ai disturbi del sonno, e persino alla sclerosi multipla.
Dal punto di vista biochimico i componenti di spicco del veleno sono: apamina, melittina e un particolare peptide detto peptide 401, la cui azione sicuramente sinergica e polifunzionale è stata accuratamente studiata, anche se molti sono i meccanismi farmacocinetici ancora sconosciutí. L'ipotesi corrente sostiene che il peptide agisca sull'ipofisi scatenando la produzione di ACTH e quindi di cortisolo.
Ho personalmente qualche riserva sulla correttezza di questa ipotesi testata su animali di laboratorio: ho ripetuto lo stesso protocollo sperimentale su soggetti umani e gli esami di laboratorio non hanno evidenziato particolari variazioni del cortisolo in seguito alla somministrazione del veleno.
Particolarmente interessante mi sembra l'associazione a prima vista casuale di patologie a carico del sistema nervoso e tegumentario nel campo d'azione del veleno d'api: embriologicamente la loro origine è comune, e tale proprietà, pur non chiarita in questi termini, è ben riconosciuta dall'omeopatia.
A proposito dell'efficacia del veleno d'ape nella cura della sclerosi multipla attualmente al vaglio di più di un importante organismo scientifico internazionale, vorrei accennare, soltanto nei termini di una suggestiva nuova ipotesi di lavoro, alla scoperta di una scienziata americana, Candace Pert, sul ruolo dei peptidi, che, come è noto, figurano fra i componenti principali del veleno. Secondo Pert i peptidi sono veri e propri messaggeri molecolari che interconnettono il sistema nervoso, immunitario ed endocrino, tradizionalmente ritenuti distinti, in un'unica rete psicosomatica, deputata all'autoequilibrazione dei processi organici.
I peptidi sono brevi catene di amminoacidi che si attaccano a recettori specifici, i quali si trovano in abbondanza su cellule di molti tipi: non solo, i peptidì stessi vengono secreti dal sistema endocrino (ormoni), ma anche da quello nervoso (endorfine), e da varie altre parti del corpo, al punto da non consentire alcuna netta distinzione nè relativamente alla loro produzione, nè al loro utilizzo da parte dell'organismo.
Nel sistema nervoso i peptidi sarebbero responsabili della maggior parte della trasmissione di segnali emessi dai neuroni, oltre a rappresentare la manifestazione chimica delle emozioni; nel sistema immunitario (prodotti dai globuli bianchi, che possiedono recettori per tutti i peptidi) controllano gli andamenti migratori delle cellule ad esso appartenenti, le loro funzioni vitali, e, soprattutto, la loro identità molecolare.
E' possibile (Pert si occupa dell'Aids, ma sarebbe interessante poter verificare se anche nella sclerosi multipla hanno luogo le stesse dinamiche). Che le patologie autoimmuni abbiano origine da una disgregazione nella rete globale della comunicazione peptidica, tale da spingere il sistema immunitario a compiere errori "cognitivi" di riconoscimento, inducendolo ad attaccare le proprie cellule.
L'introduzione a scopo terapeutico di peptidi di sintesi, (come il "T" nell'Aids), o naturali (come il velenonella sclerosi multipla), assolverebbe alla funzione di riparare la rete comunicativa attraverso l'immissione di connettivi mancanti, ripristinando così il corretto funzionamento del sistema immunitario.
Il trattamento di tutte le patologie indicate fino ad ora è pressoché standard e prevede l'applicazione di una media di 4-5 punture d'ape per seduta, 2-3 volte a settimana per circa 1 0 sedute (nella sclerosi multipla il trattamento dura anni). I risultati spesso si hanno a distanza di una quindicina di giorni dal termine della terapia, una volta risoltasi l'irritazione locale provocata dal veleno.

MIELE
In caso di ustioni l'applicazione di garze sterili imbevute di miele è di grande aiuto nella rigenerazione del tessuto cutaneo evitando la formazione di cheloidi cicatriziali.Buona anche l'azione antisettica nella medicazione di ferite infette.

PROPOLI
E' un rimedio eccellente nelle affezioni infiammatorie dell'apparato respiratorio, utilizzata come componente nell'aerosolterapia.
Trova altrettanto utilmente impiego nel trattamento di affezioni ginecologiche (soluzione glicolica) quali la sempre più diffusa micosi da Candida.
Ben noto è l'uso topico del prodotto come componente di unguenti e creme.

Livello biochirurgico

PROPOLI
Nelle infezioni chirurgiche la propoli grezza ed in soluzione alcolica e glicolica ha dimostrato una straordinaria efficacia, sia da sola, sia, nei casi più gravi, in associazione con il vaccino antipiogeno polivalente Bruschettini.
Uso la formulazione liquida per medicare cavità ascessuali che sono in comunicazione con l'esterno mediante piccoli tramiti fistolosi; per trattare invece aree infette francamente esposte impiego la propoli grezza.
La sua ricchezza in acido caffeico e in fiavonoidi le conferisce anche proprietà antitumorali, come verificato presso il New York University Medical Center e la Columbia University.
Un particolare tipo di flavonolo, la quercetina, ha dimostrato di provocare la necrosi e di bloccare la proliferazione delle cellule tumorali, di inibire la manifestazione di alcuni oncogeni, di competere con i recettori degli estrogeni e potenziare l'efficacia dell'ipertermia (che può essere provocata dalla somministrazione endovenosa del vaccino Bruschettini) a distruggere le cellule tumorali.
Personalmente utilizzo in questo caso la propoli all'interno di un protocollo terapeutico che prevede l'uso combinato di: 6-8 gr. di propoli grezza al giorno, il prodotto omeopatico "Embryo", Melatonina, 8 mg. alla sera ed altre sostanze scelte in base al tipo di neoplasia.

Conclusioni
Naturalmente nulla di quanto vi ho proposto ha la pretesa di essere indiscutibile o definitivo: intraprendere la strada dell'apiterapia ha significato per me anche imparare a praticare l'umiltà scientifica e constatare quotidianamente la provvisorietà sempre percettibile del sapere. Nè, ovviamente, l'illustrazione degli indubbi punti di forza di una forma di medicina alternativa deve implicare una svalutazione globale della medicina ufficiale. Al contrario, tengo a sottolineare con forza che entrambe possono e debbono coesistere nella pratica medica quotidiana, completandosi a vicenda, senza forme di egemonia che non hanno più ragion d'essere.
Per finire desidero puntualizzare un ultimo aspetto, ultimo nell'ordine di esposizione, ma forse il più importante.Io non credo che la via verso gli orizzonti terapeutici di domani possa privilegiare la soppressione farmacologica selvaggia e l'annientamento cellulare cieco.
L'organismo vivente, l'unità corpo-mente-ambiente, appartiene per struttura ed organizzazione ad un mondo ricco di soluzioni adattative geniali e metamorfosi altrettanto stupefacenti, un mondo che si rigenera di continuo, con intelligenza.
Homo sapiens, da millenni, ne condivide la natura.
Per questo, secondo me, il successo dell'apiterapia, e in generale di tutte le altre forme di medicina alternativa, si basa sulla capacità di risvegliare il potenziale endogeno di autoriparazione dell'organismo, indotto e amplificato dall'azione combinata della nostra mente e di sostanze affini a quelle da noi prodotte, che l'ambiente ci fornisce in quantità, pronte da usare con intelligenza e saggezza. Questa, credo, sarà la strada della nuova medicina.


Veleno d'api


Il veleno d'api

La chimica del veleno d'api

Il veleno d'api è una sostanza prodotta da alcune speciali ghiandole situate nell'addome dell'ape ed espulsa con l'aiuto dell'apparato del pungiglione. È un liquido acquoso limpido con un sapore pungente, amaro e un odore aromatico (paragonabile a quello di banane mature), una sostanza decisamente acida.
Il suo peso specifico è 1,1313. È facilmente solubile in acqua e acidi, quasi insolubile in alcool. Contiene il 30% di materiale solido. Il peso di una puntura d'ape media è di circa 0.2 0.3 mg, cioè circa 1/500esimo del peso corporeo dell'ape.
Il veleno secca rapidamente a temperatura ambiente. Asciugandosi si converte in una sostanza gommosa, senza alcuna perdita di virulenza. E' molto termostabile, può infatti sopportare temperature di 100° C per dieci giorni senza perdere la sua potenza. Il veleno d'api limpido se bollito diventa torbido, ma rimane inalterato se viene bollito per due ore in una provetta di vetro sigillata.
Il freddo, persino il congelamento, non distruggono i suoi effetti. Il lievito non modifica il veleno, anche dopo esposizioni di molte ore. Non può essere dializzato attraverso membrana: ciò significa che è di natura colloidale.
Il veleno d'api è facilmente distrutto da sostanze ossidanti come potassio permanganato o potassio solfato; elementi alogeni, quali cloruro e bromuro, lo distruggono molto rapidamente; l'effetto dello ioduro è molto più lento. L'alcool possiede un forte e distruttivo effetto sul veleno. Fermenti digestivi e fermenti vegetali indeboliscono rapidamente il veleno e, viceversa, il veleno d'api rapidamente ne compromette l'efficacia, in una parola, si distruggono a vicenda. Quest'azione è anch'essa una caratteristica comune di entrambe le famiglie di fermenti verso altri veleni animali, per esempio, il veleno di serpente.
L'ammoniaca e tutte le sostanze basiche neutralizzano prontamente e completamente il veleno d'api. Gli acidi e gli antisettici forti lo distruggono rapidamente. Sporcizia, fermenti autolitici e batteri sono altresì distruttivi per il veleno. Non ha effetto sulla cute integra (a meno di rarissimi casi di allergie in cui anche la vicinanza di materiale apistico, un guanto o altro, può provocare dermatosi pruriginose).
La sua azione è potente invece sulle membrane mucose, ad eccezione, come già detto, del tratto alimentare; i fermenti salivari, gastrici e intestinali lo distruggono rapidamente. Per questo il veleno d'api (come quello di serpente), se ingerito è di solito inefficace. Naturalmente se si succhia la ferita per soccorrere una vittima di puntura d'api, non bisogna avere ferite o infezioni nel cavo orale. In molti casi, un tale tipo di soccorso ha causato violenti sintomi al soccorritore.
Produce un effetto particolarmente intenso sulla congiuntiva e le mucose nasali. Una soluzione di veleno diluito 1 a 1000 produrrà immediatamente una netta reazione sulla congiuntiva di un coniglio (anzi tale reazione è così affidabile e costante che è usata per valutare la virulenza del veleno d'api iniettabile). Il veleno secca subito. Se tenuto lontano da umidità si conserverà per anni. Nella glicerina si conserva indefinitamente senza perdere tossicità. (Weir-Mitchell dissero di averlo conservato essiccato per 22 anni senza perdita di potenza).
Secondo Langer, una soluzione allo 0.1% di veleno d'api ritarda la crescita degli streptococchi (che si ritiene essere importanti precursori dei problemi artritici). Gli streptococchi, rimessi in un'altra soluzione, diversa da quella di veleno, riguadagnano la loro precedente virulenza. Il veleno d'api, in genere, è libero da batteri e previene in una certa misura la loro crescita. D'altra parte i batteri diminuiscono l'efficacia del veleno. Essi sono mutuamente distruttivi ma il veleno è il più potente dei due. Il veleno d'api, che è in genere privo di batteri, non è però considerato un antisettico molto efficace.


Effetti fisiologici del veleno d'api
Il veleno d'api produce sull'organismo umano tre tipi di reazioni: effetti neurotossici, effetti emorragici, effetti emolitici.

Effetti neurotossici
Un'importante proprietà tossica del veleno d'api è la sua aggressione ai tessuti nervosi centrali. Il processo è simile all'azione di altri veleni neurotossici, per esempio il veleno di serpente. L'effetto neurotossico del veleno d'api ha un'azione molto marcata, specifica. Negli incidenti da punture d'api multiple, gli effetti neurotossici delle punture d'api entrano in gioco mettendo a rischio la vita della vittima: tanto più elevato è il pericolo quanto maggiore la quantità di veleno assorbita.
Ecco un esempio: F.G. Cawston riportò un caso caratteristico in cui le punture d'api causarono i sintomi tipicamente neurotossici. Un uomo di mezza età fu punto sulle mani da numerose api dell'arnia del suo vicino. La reazione locale fu limitata, ma l'uomo fu preso da profusa sudorazione e il suo disturbo principale era costituito da un dolore intenso dietro le gambe. Il polso era debole. Fu iniettata stricnina, che migliorò il suo stato generale, ma il paziente continuava ad avere il retro delle gambe dolente. Cawston fu costretto a somministrare altra stricnina e, più tardi, eroina per liberarlo dallo stato di disagio. Egli ipotizzò che il dolore nelle gambe era stato causato da un coinvolgimento della colonna vertebrale, probabilmente dovuto all'effetto neurotossico del veleno.
Gli effetti emorragici ed emolitici (le due altre caratteristiche del veleno) hanno un'azione più estesa, generale; invece l'effetto neurotossico produrrà una specifica azione centrale che è poi seguita da disturbi periferici. La parte neurotossica del veleno d'api è molto più termostabile dell'emorragina o dell'emolisina. Secondo Weir Mitchell, gli effetti di queste ultime sono distrutti da una temperatura di 80°C, mentre ci vogliono 120°-135° C per fargli perdere il potere neurotossico. La neurotossina è anche molto più resistente all'alcool.
Il veleno d'api, come il veleno di serpente, ha una maggiore resistenza quando è in forma secca rispetto a quando è in soluzione, e lo stesso può essere detto della neurotossina. L'effetto neurotossico del veleno essiccato non sarà distrutto a -190°C. I raggi solari hanno un forte effetto distruttivo sul veleno in soluzione, ma non sul veleno essiccato.
Vediamo ora altri due casi clinici che riguardano gli effetti neurotossici del veleno d'api sull'organismo.
Il Dr W., di Munster, Indiana, rispondendo al mio questionario, scrisse che il 26 settembre 1933 fu punto su entrambe le caviglie e sulla mano e braccio destro. Due giorni dopo egli avvertì intensi dolori, soprattutto in corrispondenza della colonna vertebrale e nelle gambe, che lo misero fuori uso per parecchi giorni. Dovette camminare con l'aiuto di due stampelle per dieci giorni e fu parzialmente disabile per un mese. I sintomi erano decisamente di origine neurotossica. Ebbe numerose altre punture d'api dopo quella volta, senza particolari reazioni.
Un uomo di 31 anni, apicoltore, ricevette una puntura sulla punta dell'orecchio. Immediatamente fu colpito su tutto il corpo da contrazioni, quasi crampi, simili a quelli provocati da uno shock elettrico. Il dolore spasmodico durò circa mezz'ora, mentre la vittima rimase del tutto paralizzata.

Effetti emorragici
L'effetto emorragico è una delle caratteristiche più salienti del veleno d'api; anzi il sottoscritto crede che il valore terapeutico del veleno sia dovuto principalmente alle sue proprietà emorragiche.
L'emorragina che il veleno d'api contiene è un veleno per il sangue. La sua azione principale, come sappiamo da esperimenti su animali, ha come oggetto gli elementi del sangue ma ha anche un forte effetto sui vasi sanguigni stessi. L'emorragina porta i capillari a diventare permeabili al sangue. Il sangue fuoriesce da tutte le mucose e superfici sierose senza visibili lesioni. L'emorragina allo stesso tempo ha un effetto depressivo sui vari centri nervosi e sulle terminazioni dei nervi, causando una rapida diminuzione della pressione sanguigna.
Langer effettuò molte autopsie su animali morti a seguito di dosi fatali di veleno d'api e notò sempre un notevole versamento di sangue nel pericardio, reni e intestino, oltre ad una generale iperemia. La maggior parte di questi animali mostravano una marcata congestione meningea, versamento di sangue nei ventricoli cerebrali e altre emorragie intracraniali.
L'azione emorragica è prodotta dai protidi e dalle globuline del veleno (che sono precipitate ma non distrutte dall'alcool). L'entità dell'effetto emorragico del veleno è proporzionale alla quantità di questi corpi per natura simili a globuline.
Prima che Flexner e Noguchi facessero le loro importanti scoperte con veleno di serpente c'era grande confusione, non c'era una linea di demarcazione tra i processi emolitici e quelli emorragici. Essi affermarono: "Pensiamo che l'emorragina causi una citolisi delle cellule endoteliali dei vasi sanguigni, la distruzione dei quali è la causa diretta della fuga di sangue nelle strutture circostanti". Il versamento ha luogo non per diapedesi (cioè passaggio di cellule dal sangue attraverso le pareti intatte dei capillari), ma per vera e propria rottura delle pareti, non coinvolge solo i globuli rossi ma anche quelli bianchi.
L'emorragina invade il sistema nervoso centrale solo raramente. E il principale componente tossico del veleno di crotalo nonché di quello d'api. Questi due veleni hanno una speciale affinità per le cellule endoteliali, delle quali le pareti dei vasi sanguigni e linfatici sono costituite. Il veleno di cobra, dall'altra parte, ha una speciale affinità per il sistema nervoso, producendo scarsi mutamenti di altri tessuti. È forse un'affinità per la lecitina?
Gli esperimenti di Monac-Lesser, Taguet, Laignel-Lavastine e Koressios, nel cercare di curare il cancro col veleno di cobra, mi sembrano basati su un principio del tutto erroneo. Non è sicuramente sorprendente notare il notevole effetto analgesico (che supera di molto quella della morfina) che essi registrano persino in casi incurabili, a causa dell'azione neurotossica del veleno di serpente.
L'affinità selettiva del veleno per i fosfolipidi delle cellule nervose è fuori dubbio, ma solo veleni con azione emorragica, quali il veleno di crotalo o d'api, possono avere la possibilità di portare ad un processo ricostruttivo. Infatti l'antiveleno di cobra ha effetti antineurotossici ma non antiemorragici e, viceversa, l'antiveleno di crotalo ha effetto antiemorragico ma non antineurotossico. L'antiveleno di crotalo è stato usato con successo per contrastare gli effetti del veleno d'api.
Da un punto di vista clinico, l'emorragina del veleno d'api è estremamente importante. Ciò è spiegato ampiamente nel capitolo II. Troviamo spesso nelle reazioni alle punture d'api i tipici effetti emorragici. Molte fatalità furono dovute ad emorragie cerebrali.

Effetti emolitici
Un'altra importante caratteristica azione fisiologica del veleno d'api sul sangue è il suo effetto emolitico, emotossico. Il sangue ha di per sé una grande capacità antiemolitica, una misura strettamente difensiva che è probabilmente dovuta al suo contenuto di colesterina. L'intera teoria dell'immunità sembra basarsi sul fatto che quando un organismo è immunizzato da graduali dosi di un veleno o tossina, un automatico aumento di colesterina nel plasma sanguigno agisce da difesa neutralizzante, da sostanza antitossica.
Già Phisalix aveva affermato che la colesterina ha un effetto immunizzante sul veleno di serpente, e ne è un vero antidoto. Se una piccola quantità di veleno d'api è aggiunta ad un campione di sangue in una provetta, vi troveremo pochissimi eritrociti. Troveremo però emoglobina e, analizzando al microscopio, metemoglobina. Il veleno d'api è un potente veleno emolitico. L'effetto emolitico è prodotto dall'emolisina, che agisce non solo sui globuli rossi del sangue ma anche su quelli bianchi.
L'azione della lecitina è l'opposto di quella della colesterina. Se aggiungiamo la lecitina al veleno d'api puro la loro combinazione (lecitide) aumenterà notevolmente il potere emolitico del veleno. Morgenroth e Carpi scoprirono che la lecitide del veleno d'api è 200 500 volte più emolizzante del veleno stesso. Le ricerche di Kyes e Sachs hanno una grande importanza per l'immunologia. Nel veleno di animale, essi affermarono, c'è una sostanza di carattere ambocettore che è enormemente attivata da certi complementi del siero (la lecitina è uno di questi attivatori). Più veleno è presente, di meno lecitina si ha bisogno per la completa emolisi, e viceversa.
Anche l'effetto emolitico del veleno di cobra dipende dal contenuto in lecitina del sangue. Flexner e Noguchi trovarono che la sostanza emolitica del veleno di cobra ha due componenti: una è nel veleno e l'altra componente, quella attivante, è nel siero sanguigno.
Morgenroth e Carpi pensarono che valesse la pena di portare avanti ulteriori studi sulle caratteristiche della tossilecitide più che sulle altre tossine. La tossilecitide è un prodotto a mezza strada tra la prolecitide, sostanza non caratterizzata chimicamente, di carattere ambocettore, e la lecitina. Molte domande sulle conoscenze teoriche dell'immunità ci conducono alla tossilecitide come ponte delle tossine batteriche.
La termostabilità del prolecitide del veleno d'api è minore di quella del veleno di serpente. In una soluzione neutra, per due ore a 37°C il suo effetto emolitico risulta più debole. D'altra parte, la tossilecitide mostra elevatissima termostabilità. I veleni emolitici hanno uno stato latente nel corpo. Con iniezioni attente e graduali, si può raggiungere l'immunità.
Un fattore che entra in gioco nella reazione dell'organismo è il tempo. Questo ci porta alla teoria di Ehrlich che parla di cellule anti-tossiche che si legheranno a sostanze intruse o veleni. C'entra qualcosa questo con il fatto che i sifilitici nei primi stadi della loro malattia sono ipersensibili ai veleni emolitici, mentre in seguito succede qualcosa per cui non lo sono più? Tutto ciò potrebbe essere rilevante nella terapia del veleno d'api.


sabato 1 dicembre 2012

Una dolce cura


UNA DOLCE TERAPIA ( L'impiego del miele e dello zucchero per il trattamento di ferite infette , ulcere , ustioni ...)

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare , l'uomo ha utilizzato fin dai tempi più antichi sostanze antisettiche estremamente efficaci. Pensiamo per un momento alle gravi ferite ed alle amputazioni che venivano spesso riportate durante episodi bellici . Nell ' Iliade e nell ' Odissea , nei resoconti delle conquiste di Alessandro Magno , nei classici del Medio Oriente quali ad esempio il "Gilgamesh" o nelle storie degli Aztechi o ancora delle antiche dinastie Cinesi , si trovano racconti di guerieri feriti e sanguinanti , curati e ritornati a combattere.
Non sono citate in questi resoconti complicanze quali gangrene , sepsi ed altri tipi di lesioni che hanno ucciso , nelle guerre dei tempi moderni , più soldati che non le ferite stesse.Come ha potuto accadere ciò ? Una prima spiegazione la troviamo nel papiro Smith del 1700 prima di Cristo e nel papiro Ebers del 1500 prima di Cristo.
Entrambi descrivono medicazioni di ferite ed ustioni molto gravi utilizzando una amalgama di miele e latte coagulato applicata sulle lesioni con una benda di cotone. Una mistura simile fu impiegata da diverse popolazioni dell'antichità : dai Romani alle tribù africane , dagli Indiani d'America alle popolazioni rurali del Sud degli Stati Uniti.
Pure il Corano riconosce le qualità terapeutiche del miele : " ...il tuo Signore ha ispirato le api / a costruire i loro alveari sulle colline / sugli alberi e nelle abitazioni degli uomini. / Dai loro corpi fuoriesce / una bevanda di vari colori ,/ in cui c'è la salute per il genere umano."
Il miele è anche un ingrediente molto comune nella farmacopea tradizionale cinese , essendo presente in molti medicamenti per ferite ed ustioni. Durante la II guerra mondiale , per esempio, la popolazione di Shangai utilizzò una mistura di miele e lardo per trattare ulcere e piccole ferite con eccellenti risultati.
In Messico gli antichi Aztechi guarirono molte ferite con del miele salato. Essi prepararono pure uno sciroppo fatto con il concentrato di linfa di una particolare agave (maguey) che ha una altissima percentuale di zuccheri. Questo estratto ha dimostrato di avere una potente attività antimicrobica.
Allo stesso modo in Inghilterra per generazioni si è raccomandato di usare il miele per trattare le ustioni. Ai nostri giorni ed in particolare intorno agli anni '70 furono pubblicati numerosi articoli riguardanti l'utilizzo del miele e dello zucchero in ambito medico.
Nel 1966 la comunità scientifica si stupì dei risultati ottenuti da un'infermiera di un ospedale di Bristol in Inghilterra, che aveva medicato con il miele alcuni pazienti affetti da ulcere da decubito e da infezioni dei monconi d'amputazione , resistenti ai trattamenti standard , portandoli a guarigione . Nello stesso periodo sanitari Arabi ed Ucraini riferirono che il miele era stato utilizzato con successo per curare infezioni dell'orecchio , del naso, della gola ,della pelle , degli occhi e delle vie urinarie. Medici tedeschi trovarono che il miele mescolato con un anestetico locale ,la procaina, era estremamente efficace nel trattamento dell' Herpes Zoster.
Inoltre alcuni medici britannici usarono il miele per abbreviare i tempi di guarigione di pazienti operati di tumori dell'utero , mentre in India i sanitari locali lo applicavano su ulcere cutanee e nei casi di lebbra , e in Nuova Zelanda ed in Australia per curare ulcere tropicali , infezioni vaginali e addominali.
Chirurghi russi e tedeschi scoprirono che gli organi da trapiantare , quali vasi sanguigni, ossa e cornee , potevano essere conservati nel miele . Essi definirono questa metodica "MELITTIZZAZIONE" , dal latino "mel" che significa per l'appunto miele.

Dalla fine degli anni '70 l'uso del miele per le medicazioni era piuttosto comune a tal punto che nella farmacopea degli ospedali britannici era incluso il "miele con olio di ricino".
Nonostante questo prodotto fosse utilizzato frequentemente i primi studi clinici sulla sua reale efficacia risalgono al 1976. In quell'anno due medici , lavorando separatamente , uno in Argentina e l'altro negli Stati Uniti, verificarono indipendentemente che cosa ci fosse di vero riguardo le riferite proprietà cicatrizzanti ed antisettiche del miele e dello zucchero. Entrambi utilizzarono queste sostanze per medicare ulcere da decubito incurabili , infezioni insorte in seguito ad ustioni ed altre lesioni traumatiche.
Si trattava del Dott. Leon Herszage dell'Ospedale Torcuato de Alvear a Buenos Aires che per primo nel 1980 pubblicò i risultati ottenuti trattando 120 pazienti con una percentuale di guarigione del 99% . L'altro era il Dott. Richard Knutson , chirurgo ortopedico del Delta Orthopedic Center di Greenville in Mississippi , la cui ricerca durò cinque anni in cui analizzò i risultati ottenuti su 605 pazienti affetti da ustioni , ulcere, ferite da arma da fuoco , amputazioni e lesioni traumatiche infette resistenti alle terapie convenzionali. La completa guarigione avvenne nel 98% dei casi . Il risultato era estremamente significativo soprattutto se confrontato alla percentuale di guarigione del 90% ottenuta nei pazienti trattati con antibiotici. Oltremodo interessante era la rapidità di guarigione dei pazienti curati con il miele e lo zucchero. Anche ferite che si erano infettate durante il corso dei trattamenti convenzionali , dopo alcuni giorni di terapia con questa metodica alternativa , divenivano sterili e viravano verso la guarigione. Mentre il 40% dei suoi pazienti che non avevano ricevuto il trattamento alternativo dovevano essere sottoposti ad interventi di chirurgia plastica , nessuno dei pazienti curati con zucchero e miele avevano necessitato di ulteriori procedure chirurgiche. Entrambi i medici erano giunti separatamente alle stesse conclusioni : il miele e lo zucchero erano non soltanto più efficaci dei trattamenti convenzionali , ma erano senza ombra di dubbio più economici anche in rapporto alla durata della cura , dei prodotti impiegati e delle possibili complicanze.
In alcuni casi questa "cura dolce" ottenne risultati miracolosi. Il dottor Harvey Gordon ed i suoi colleghi del Northwick Park Hospital and Clinical Research Centre di Harrow , in Inghilterra , curarono in questo modo un paziente con due enormi ascessi glutei che lo avevano debilitato a tal punto da non riuscire più a camminare ed erano talmente dolorosi che per medicarlo era necessaria l'anestesia generale. Nessun trattamento standard aveva ottenuto alcun miglioramento. Disperati i sanitari avevano riempito gli ascessi con miele , zucchero e acqua ossigenata . Con loro grande sorpresa , dopo tre giorni di medicazioni , non fu più necessario anestetizzare il paziente che iniziò nuovamente a camminare dopo mesi di tormenti trascorsi a letto. Le sue ferite guarirono perfettamente nel giro di sei settimane. Gli stessi sanitari ottennero un risultato simile con un altro paziente affetto da sei mesi da un ascesso al collo. Anche lui guarì perfettamente entro sei settimane.

Simili risultati furono riportati da altri medici in vari continenti, curando pazienti affetti da ulcere associate ad anemia falciforme , diabete e disfunzioni del sistema immunitario.
Ancora più sorprendentemente , i chirurghi Jean Louis Trouillet, Jean Chastre ed i loro colleghi del BichatHospital di Parigi scoprirono che questa "terapia dolce" funzionava non soltanto per le infezioni esterne ma anche nel caso di infezioni interne localizzate. Così come altri cardioghirurghi , essi avevano un certo numero di pazienti le cui ferite al torace, in seguito ad interventi a cuore aperto , si infettavano e resistevano ai trattamenti antibiotici. In questi casi Trouillet e Chastre riempivano quotidianamente la cavità toracica attorno al cuore con lo zucchero. Le ferite diventavano sterili in media entro una settimana , la febbre spariva ed il numero di pazienti che moriva in seguito all'infezione diminuì enormemente. La durata media della degenza dei pazienti trattati in questo modo scese a 54 giorni contro gli 85 giorni di quelli curati con metodi convenzionali. Inoltre molti pazienti riferirono che le medicazioni erano praticamente indolori. Anche le gravi ustioni rispondono bene alla terapia con miele e zucchero.
Un medico indiano , il dottor Subrahmanyam descrisse in alcuni articoli su riviste specialistiche inglesi , come le medicazioni delle ustioni con il miele fossero più efficaci dei comuni trattamenti con garze medicate o con fogli in poliuretano imbevuti di prodotti antibiotici. Ma forse fra tutte, la più interessante indicazione all'uso del miele è quella per il trattamento dell' ulcera gastrica.
Fino ad ora si è ritenuto che le ulcere gastriche siano causate dagli stress e dalla conseguente iperproduzione di succhi gastrici acidi che erodono la mucosa dello stomaco. La medicina occidentale ha di conseguenza trattato queste lesioni con dei farmaci che riducono l'acidità dello stomaco. D' altra parte si ritiene oggi che molte di queste ulcere siano causate da un batterio , l' Helicobacter pylori , che può essere curato efficacemente con varie combinazioni di antibiotici. Possiamo a questo punto capire perchè per secoli guaritori e medici dei paesi arabi , caucasici ed asiatici hanno utilizzato con successo il miele per guarire questa patologia. Preso per via orale , in dosi concentrate , il miele ha una carica antibatterica sufficiente ad uccidere l' Helicobacter .In questo modo è stato dimostrato essere vero e scientificamente provato un altro aspetto dell'utilizzo del miele nella medicina popolare.
Il successo delle terapie con zucchero e miele ha suscitato l'interesse degli studiosi per cercare di comprenderne e spiegarne l'efficacia. Lo zucchero è stato utilizzato nei secoli per conservare i cibi sfruttandone le proprietà antimicrobiche.
Dalla metà degli anni '50 molti batteriologi dimostrarono con esperimenti di laboratorio che il miele ha proprietà antibiotiche ed antifungine. Ad esempio il dottor W.G.Sackett , batteriologo presso il Colorado Agriculture College di Fort Collins , verificò l'attività antibatterica del miele sui germi che causano il tifo ,la dissenteria , su pneumococchi , stafilococchi ecc.. Senza alcuna eccezione , tutti i batteri furono uccisi nel giro di alcuni giorni in seguito all'esposizione al miele e molti addirittura entro poche ore. Un batteriologo turco , il dottor Ulker , dimostrò che il miele può uccidere anche i micobatteri , cioè i germi responsabili della tubercolosi e della lebbra.
Il meccanismo per mezzo del quale gli zuccheri , o raffinati o contenuti nel miele , esercitano le loro proprietà antibiotiche non è ancora del tutto chiaro.
Da una parte , sembra che gli zuccheri stimolino la fagocitosi, cioè il processo attraverso il quale i globuli bianchi aggrediscono e distruggono i germi. Dall'altra , sembra che essi proteggano i tessuti dalle infezioni nello stesso modo in cui conservano le marmellate e le gelatine .
L'alta concentrazione di zucchero crea una elevata pressione osmotica che non consente la sopravvivenza dei germi. Per capire che cos'è la pressione osmotica basti pensare che gli zuccheri ed il sale assorbono acqua. Tutte le cellule utilizzano la pressione osmotica per regolare il loro contenuto d'acqua. Se però si verifica che al loro esterno vi è una elevata concentrazione di sale o di zuccheri, l'acqua verrà assorbita dal loro interno disidratandole e provocando in tal modo la morte cellulare.
Tutto ciò può essere sfruttato in medicina poiché i microbi , che pure sono cellule , avvolti da una amalgama di miele e zucchero si disidratano e muoiono.
Ci si potrebbe aspettare che anche le cellule del nostro corpo che vengono in contatto con alte concentrazioni di zuccheri o di sale , si disidratino e muoiano, ma ciò non avviene.

Le cellule dei nostri tessuti sono in stretto contatto l'una con l'altra ed a loro volta con i vasi sanguigni e linfatici. Queste cellule , che fanno parte di un più vasto e complesso sistema , compensano le alterazioni della pressione osmotica assorbendo in continuazione acqua da altre zone del corpo.
Nello stesso tempo , le cellule del nostro corpo iniziano ad assorbire e metabolizzare gli zuccheri per trasformarli in energia per il nostro organismo. Soltanto le cellule che sono danneggiate , o quelle singole ed isolate come ad esempio i batteri , che non fanno parte del sistema corporeo , sono minacciate dalla alta concentrazione di zuccheri. La distruzione delle cellule danneggiate è un ulteriore effetto benefico delle terapie a base di zucchero o miele , poiché i tessuti morti rappresentano un terreno di coltura per molti tipi di batteri . In questo modo la "terapia dolce" è una efficace ed indolore forma di pulizia della ferita : essa elimina i tessuti morti e contemporaneamente sterilizza la lesione.
Inoltre il miele è un prodotto estremamente attivo contro funghi patogeni e batteri , ancora più dello zucchero, e ciò ci suggerisce che esso contiene sostanze antibiotiche fra cui perossido d'idrogeno (acqua ossigenata) , acido formico , vitamine e minerali (ferro, rame , manganese , calcio , potassio , sodio, fosforo e magnesio) . Tutte queste componenti contribuiscono ad aumentare la pressione osmotica e sono essenziali per stimolare la crescita e la riparazione delle cellule del nostro corpo.
Gli studi sull'efficacia dello zucchero e del miele sulla cicatrizzazione delle ferite con la conseguente eliminazione di interventi di chirurgia plastica , hanno ricevuto ulteriore conferma dalle ricerche di Mark Ferguson dell' Università di Manchester , che ha scoperto che alcuni zuccheri possono ritardare lo sviluppo del collagene, una proteina che forma il tessuto connettivo e che viene prodotta in eccesso nei cheloidi cicatriziali. Dopo essersi provocato delle ferite sulle sue braccia ed averle medicate con diversi tipi di zucchero (glucosio, fruttosio , saccarosio .......) , Ferguson ha dimostrato come essi prevengano la formazione di cicatrici deturpanti rispetto alle ferite non trattate .

Per molti di noi è difficile credere che con un metodo così semplice si possano guarire gravi lesioni incurabili con le tecniche della medicina ufficiale . Ma quest'ultima è soltanto una forma parziale di conoscenza che si deve confrontare senza pregiudizi con la cosiddetta "medicina popolare" , frutto della secolare lotta dell' uomo contro la malattia e della attenta osservazione dei fenomeni naturali.
Quando la gente ti chiede dove hai imparato questa tecnica , io rispondo : l'ho imparata qui e là , ma soprattutto avendo a che fare tutti i giorni con i pazienti , ed ogni giorno apprendendo qualche cosa di nuovo. La miglior scuola è la pratica e spesso la miglior terapia è dolce.

domenica 4 novembre 2012

La propoli




La propoli

Il mistero dell'origine della propoli è ancora oggi lungi dall'essere chiarito. Secondo alcuni la propoli sarebbe prodotta direttamente dalle api e deriverebbe da residui di polline semi digerito dall'insetto in un apposito organo situato in prossimità dell'intestino, e poi rigurgitato. Altri, invece, ravvisano la presenza di due tipi di propoli, il primo di origine interna, prodotto secondo l'ipotesi accennata, e l'altro derivato da sostanze di natura resinosa e balsamica raccolte dalle api e poi elaborate da particolari ghiandole ricche di enzimi. Oggi la maggior parte di studiosi sostiene la tesi dell'origine esterna della propoli, alla cui genesi concorrerebbero le api mediante un semplice processo di arricchimento enzimatico. Sta di fatto che all'interno dell'alveare la propoli presenta due principali impieghi: come materiale da costruzione e come antisettico.
Proprietà
L'estrema variabilità della composizione chimica della propoli si traduce nella pratica comune in una profonda diversità delle sue caratteristiche fisiche: colore, aroma, sapore. La propoli è costituita essenzialmente da una miscela di composti di natura aromatica e fenolica arricchita da numerose sostanze, molto eterogenee tra di loro (acidi grassi, terpeni, aminoacidi, vitamine, sali minerali ecc), la cui distribuzione percentuale è molto variabile in funzione delle stagioni, del tipo di vegetazione e delle stesse api raccoglitrici. In sintesi potremmo dire che la propoli risulta costituita essenzialmente da resine, balsami (50-55%) e cere (25-35%), tuttavia la sua peculiarità costitutiva risiede nella grande ricchezza di flavonoidi, ossia di pigmenti vegetali, che assieme ad altre sostanze (fenoli, fenolacidi, alcoli ecc) le assicurano proprietà antimicrobiche e contribuiscono all'azione batteriostatica e battericida.
Impiego
In commercio si trovano si trovano essenzialmente due tipi di propoli: la propoli grezza, ottenuta dal raschiamento delle superfici interne dell'arnia, e la propoli in scaglie, ottenuta da apposite griglie collocate tra il nido e il tetto dell'arnia. Grazie alle sue spiccate proprietà antimicrobiche, la propoli presenta una notevole capacità di rimanere inalterata nel tempo. La sua conservazione quindi non richiede particolari accorgimenti: è sufficiente impiegare contenitori collocati lontani dalle fonti di calore. Attualmente il maggior impiego della propoli per uso terapeutico rimane quello esterno come disinfettante, cicatrizzante e lenitivo, attraverso soluzioni, unguenti e pomate. Fino ad oggi non è stata nessuna significativa controindicazione nell'uso della propoli, ad eccezione di alcuni casi di ipersensibilità e di sensibilizzazione manifestatasi in soggetti tendenzialmente allergici.
Le applicazioni terapeutiche vanno dal settore dermatologico (geloni, ascessi, foruncoli, calli, duroni, verruche, psoriasi,acne, scottature ecc) a quello odontostomatologico (gengiviti, afte, stomatiti ulcerose). In gastro-enterologia la propoli viene impiegata nella cura delle gastriti, delle coliti e di alcune ulcere gastro,duodenali. Risulta infine efficace contro le infezioni e le infiammazioni dell'apparato genito-urinario. Nella cosmesi la propoli è diventato sempre più comune nella preparazione di sostanze naturali destinate all'igiene del cuoio capelluto( shampoo, balsami,lozioni, gel), alla pulizia delle pelli grasse e impure( sapone, creme, unguenti) e all'igiene del denti e del cavo orale (dentifrici, collutori ecc). Inoltre è ottimo usato per curare raffreddori, laringiti, rino-faringiti, tracheiti, riniti sinusiti, otiti.
Preparato alcolico: mettere in infusione 300 grammi di propoli in un litro di alcool per liquori a 95°per almeno un mese mescolando il preparato almeno una volta al giorno. Filtrare e mettere in boccette con contagocce e vetro scuro. Conservare al fresco.

venerdì 2 novembre 2012

Notizie sul mais ogm

http://www.mieliditalia.it/index.php/api-agricoltura-ambiente/notizie-agricoltura-e-ambiente/81149-mais-ogm-monsanto-cancro

Acca Sellowiana

Fiori
Frutti


Acca sellowiana

Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoPlantae
DivisioneMagnoliophyta
ClasseMagnoliopsida
SottoclasseMagnoliidae
OrdineMyrtales
FamigliaMyrtaceae
GenereAcca
SpecieA. sellowiana
Nomenclatura binomiale
Acca sellowiana
O. Berg
Sinonimi
Feijoa sellowiana

Acca sellowiana O.Berg (sinonimo Feijoa sellowiana) è un arbusto sempreverde alto tra 1 e 7 m, originario degli altipiani del Brasile meridionale, parte della Colombia, Uruguay e il nord dell'Argentina, prevalentemente in queste zone nella aree montane. Appartiene alla famiglia delle myrtaceae.

Descrizione

La feijoa è un arbusto di norma a più fusti, sempreverdea crescita lenta, che può arrivare a 4–7 m.
Le foglie scure, lucide, spesse, ellittiche, opposte, sono lunghe circa 5cm. La pagina inferiore è feltrosa. È possibile fare infusi con le foglie essiccate.
I fiori, medio-piccoli, spesso raccolti a gruppi sono numerosi, di colore bianco rosacei, hanno numerosi stami rosso violetti molto vistosi. È probabile che nelle zone d'origine l'impollinazione sia effettuata anche da uccelli. I petali dei fiori possono essere utilizzati per insalate, dato che sono robusti, croccanti e dolci; o fatti sciogliere sulla lingua.
I frutti di Acca sellowiana, hanno scorza verde, polpa bianca traslucida o giallastra, gelatinosa e con numerosi piccoli durissimi semi, i frutti sono grandi come prugne, ovali o piriformi, sono commestibili. I frutti sono estremamente profumati, anche se non dolcissimi, il sapore della polpa, morbida, è stato giudicato a metà tra l'ananas e la fragola.
La maturazione del frutto avviene (in funzione alla stagione meteorologica) nei mesi di settembre e ottobre. Quando raggiungono la maturazione, i frutti si staccano spontaneamente dall'albero e cadono, questo è la maniera comune per procedere alla raccolta, dato che la buccia è robusta; si sbucciano con un coltello, o si estrae la polpa con un cucchiaino dal frutto aperto a metà, e si consumano freschi. I frutti raccolti hanno una breve durata, come per le banane di 5 /6 giorni se conservati in luogo fresco. La raccolta al suolo è indicata soprattutto per la preparazione a breve termine di una confettura, adoperando come addensante la polpa di alcune mele, possibilmente acerbe.
La raccolta dall'albero permette di avere frutta di durata leggermente maggiore, ma occorre raccogliere frutti maturi, cioè che si stacchino agevolmente dai rami; per il resto solo un leggero rammollimento della polpa ed un leggerissimo schiarimento di colore della buccia, sono i non facili segnali della avvenuta maturazione
La fioritura
Dalla Acca sellowiana sono state ricavate varie cultivar ad esempio le varietà Triumph, Colidge, Mammoth, Apollo, Gemini, Moore. Queste cultivar hanno diversa grandezza, forma e tempo di maturazione dei frutti. Alcune variano anche per modalità di impollinazione.
  • Acca Sellowiana Unique: l'albero è di circa due metri e mezzo di altezza e robusto, il frutto matura in anticipo ed ha una forma ovale e dalla superficie liscia. Può essere consumato fresco o inscatolato. Si autoimpollina.
  • Acca Sellowiana Mammoth: l'albero è dritto e arriva a 3 metri di altezza. Il nome deriva dal fatto che il frutto è di diametro maggiore rispetto alle altre cultivar; inoltre è di impasto più granuloso e ha una pelle leggermente rugosa. La Mammouth si autoimpollina ma la pianta dà frutti più grandi con l'impollinazione incrociata.
  • Acca Sellowiana Gemini: l'albero è meno robusto rispetto ad altre varietà e raggiunge i due metri e mezzo di altezza. La fioritura è abbondante e la maturazione della frutta precoce, con uns buona resa del raccolto. Il frutto è medio piccolo, di pelle scura e molto sottile, ma molto gustoso. La pianta si autoimpollina solo parzialmente, per dare più frutti richiede l'impollinazione incrociata, possibilmente con la cultivar Apollo.
  • Acca Sellowiana Robert: pianta adatta alle coltivazioni estese, se troppo sfruttata presenta foglie color ruggine. I frutti sono piccoli, la polpa succosa e granulosa. Matura molto precocemente, anche due mesi prima delle altre varietà. Se non viene impollinata con l'impollinazione incrociata può dare frutta apparentemente commerciabile, ma in realtà vuota all'interno.
  • Acca sellowiana Smith: è una varietà che dà raccolti abbondanti di frutta medio-grande.

Coltivazione

La feijoa viene talvolta coltivata anche in Italia. La sua coltivazione ha avuto particolare successo, oltre al Sudamerica che ne è terra d'origine, in alcuni paesi dell'ex-Unione Sovietica (p.es. Georgia, Azerbaigian) e in Nuova Zelanda.
La feijoa, pur essendo di origine semi-tropicale, sopporta anche temperature moderatamente basse, (fino a -8°C).
La specie è spesso autosterile, cioè per avere frutto è necessario coltivare almeno due varietà diverse. La pianta è molto resistente, accetta anche suoli sassosi o sabbiosi purché sufficientemente profondi, ma non sopporta suoli eccessivamente umidi e poco drenati. Sopporta discretamente la siccità (specie se in suolo profondo) e col suo fogliame robusto sopporta bene i venti salini. Eccessi di temperatura estiva compromettono l'aroma ed il profumo (fattore di rilievo) dei frutti, che rischiano di essere scialbi e di scarso aroma.
In luoghi ventosi le siepi di feijoa sono spesso usate per proteggere dal vento.


domenica 28 ottobre 2012

Il miele



 


  
Il miele

Il miele deriva dalla trasformazione biochimica del nettare. Questo, raccolto dalle api bottinatrici dai fiori, viene ceduto alle api “magazziniere” che si occuperanno di elaborarlo. La goccia di nettare, pressoché microscopica, viene passata rapidamente e rigurgitata da un'ape all'altra, concentrata e arricchita con apposite secrezioni ghiandolari particolarmente ricche di enzimi: man mano che viene eliminata l'acqua e lo zucchero si fa dominante, il nettare diventa miele. Il prodotto finale è dunque una sostanza predigerita.
Il miele viene depositato dalle api negli alveoli dell'arnia, dove verrà raffinato in modo da conferigli la forma definitiva. Le api operaie lo depongono negli alveoli e battono le ali per assicurare una buona ventilazione ed eliminare ancora un po' dell'acqua in eccesso. Solo a questo punto si provvederà alla chiusura degli alveoli ( opercolatura) con la cera, in modo da conservare il prodotto senza rischi di fermentazione.
Proprietà. La composizione del miele dipende principalmente dalla composizione del nettare (o dei nettati ) che lo costituiscono e, secondariamente da fattori esterni come l'andamento meteorologico, i metodi di raccolta e di estrazione. Esiste pertanto un'infinita varietà di mieli con consistenza liquida o cristallina,colore variabile dal giallo paglierino al bruno scuro, passando da toni verdastri o rossicci, gusto e aromi diversi.
Nel miele si rileva la presenza di fruttosio, glucosio, saccarosio, maltosio e altri zuccheri, alcuni dei quali si formano per attività enzimatica durante la maturazione del prodotto. Contiene vitamine C, E, K. Tra i sali minerali si nota una presenza, seppur minima, di sodio, potassio, calcio, manganese, cobalto, cromo, nichel, litio, zinco. Dalle analisi di laboratorio si riscontra inoltre la presenza di fattori ormonali quali acetilcolina e vari steroidi,antibatterici e antibiotici.
Impiego. Il suo alto valore energetico (320 cal/100g) contribuisce a rendere il miele un'alimento eccezionale, estremamente valido come carburante naturale degli sforzi fisici, brevi o prolungati che siano. L'ideale sarebbe consumarlo abitualmente, almeno per tutto il periodo autunnale e invernale, in occasione della prima colazione, sostituendolo allo zucchero bianco. Rispetto a quest'ultimo infatti, il miele non provoca un'alterazione del metabolismo dei grassi, con conseguente sviluppo di sovrappeso.
Dalle numerosi sperimentazioni in corso si può anche desumere che il miele possa vantare proprietà riequilibranti del sistema nervoso; svolgere un'azione regolatrice delle funzioni dell'apparato digerente attraverso una regolazione della flora batterica intestinale; attuare un'efficace azione batteriostatica e antibiotica; riequilibrare la patologia cardiocircolatoria. Gli vengono altre sì riconosciute proprietà emollienti, febbrifughe, sedative, diuretiche, antianemiche, pertanto può a ragione essere considerato un vero e proprio medicamento. La somministrazione di miele per via orale è sicuramente la forma più naturale. La dose consigliabile è estremamente varia secondo la persona e le applicazioni. Il consumo minimo di mantenimento viene indicato per un adulto nella dose di un buon cucchiaio da minestra. La dose può essere ampiamente superata in numerosi casi. Il miele potrà essere spalmato anche su tartine, sciolto in un po' d'acqua, in bevande tipo infuso d'erbe, latte, caffè d'orzo, non troppo calde in modo da non distruggere i principi attivi, o assunto con alimenti come lo yogurt.