Garcia Lorca
Il canto del miele Il miele è la parola di Cristo, l'oro colato del suo amore. Il meglio del nettare, la mummia della luce di paradiso. L'alveare è una stella pura, pozzo d'ambra che alimenta il ritmo delle api. Seno dei campi tremulo d'aromi e di ronzii. Il miele è l'epopea dell'amore, la materialità dell'infinito. Anima e sangue dolente di fiori condensati attraverso un altro spirito. (Così il miele dell'uomo è la poesia che emana dal suo petto addolorato, da un favo con la cera del ricordo creato dall'ape nell'intimità). Il miele è la bucolica lontana del pastore, la zampogna e l'olivo, fratello del latte e delle ghiande, regine supreme dell'età dell'oro. Il miele è come il sole del mattino, con tutta la grazia dell'estate e il fresco antico dell'autunno. E' la foglia appassita ed è il frumento. | Oh divino liquore dell'umiltà, sereno come un verso primitivo! Tu sei l'armonia incarnata, lo spirito geniale di liricità. In te dorme la malinconia, il segreto del bacio e del grido. Dolcissimo. Dolce. Questo è il tuo aggettivo. Dolce come il ventre di una donna. Dolce come gli occhi dei bimbi. Dolce come le ombre della notte. Dolce come una voce. O come un giglio. Per chi ha in sé la pena e la lira tu sei il sole che illumina il cammino. Equivali a tutte le bellezze, al colore, alla luce, ai suoni. Oh liquore divino della speranza, dove anima e materia unite trovano il perfetto equilibrio come nell'ostia corpo e luce di Cristo. E' la superiore anima dei fiori. Oh liquore che hai unito queste anime! Chi ti gusta non sa che inghiotte lo spirito d'oro di liricità. |
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